Uno-due-tre.
Inizio-fine-inizio-
nascita-evoluzione-rinascita.
Ecco una probabile chiave di lettura delle poesie di Giorgio Montanari.
Uno: sé stessi. Nella nascita, nell’evoluzione, nella vita. Uno come l’inizio di tutto. L’alpha la creazione.
Osservo il disegno dello yin e yang, onnipresente nel libro.
È uno, è due è tre. Può sembrare paradossale ciò che sto cercando di spiegare, ma per farlo ricorrerò a qualcosa di familiare.
L’altra metà della mela.
Concetto espresso da Platone che ha ossessionato per anni ogni uomo o donna che ne sia venuto a conoscenza.
In un suo racconto, Primo Levi, ci illustra questo mito (rivisitato dalla cultura ebraica). Dio creò un golem , poi lo spezzò: ne uscirono due esseri, distinti e separati che tuttavia ambivano a ricongiungersi ogni volta che potevano per tornare ad essere Uno.
Una formula strana per cui un individuo sommato a un altro formano un solo individuo più evoluto che però curiosamente forma tre unità.
E cos’è il tao se non l’unione di due elementi che ne formano un terzo che però è una singola parte?
Può sembrare folle questa mia argomentazione per spiegare una raccolta di poesie.
Ma quando si leggono versi come questi
Fortificato da mura
di ego
il mondo non mi tange.
Non piango
se non da solo.
La farfalla,
prima attirata
dalla luce,
ora si agita
cercando di salvarsi
dalla lampada.
Non posso non pensare a una percezione di consapevolezza.
E parlando di consapevolezza, non posso non rimandare il mio pensiero a Antony de Mello e alla sua incitazione a svegliarsi. Secondo la sua visone siamo intrappolati in un sonno volontario di cui però non ci rendiamo appieno conto, un incubo per la precisione, dove come sonnambuli non facciamo altro che vivere senza vivere. Siamo proprio come questa farfalla. Attratti dalla luce finiamo per bruciarci, senza renderci conto che le mura di cui ci siamo attorniati non solo non ci hanno protetto, ma ci hanno condotto alla rovina. Questo perché non siamo stati in grado di svegliarci in tempo. Ci siamo lasciati trascinare da quella cosa che chiamiamo vita, ma che tutto è meno che vita.
È sopravvivenza, forse.
Chi siamo in realtà?
Il caro de Mello ci ricorda che l’uomo è trinitario, proprio come lo è Dio.
Siamo corpo spirito e anima (per San Paolo) “io e me” per il gesuita.
Voi mi direte: e la terza parte? Sempre il nostro caro contenitore (il corpo) mosso da queste due identità che ci compongono, ma che non coincidono e di cui spesso non abbiamo neanche consapevolezza.
Sempre il de Mello insiste nel dirci che se capissimo che il problema non è nel mondo ma in noi, che se cambiamo noi, tutto cambia potremmo essere eternamente felici anche in questa vita e convivere allegramente con i nostri mostri perché non ne avremmo più paura.
Che, in definitiva, la cosa più importante che possa capitarci è la consapevolezza.
Tutto molto bello, molto positivo, ma a volte il risveglio e la consapevolezza non solo non sono immediati, ma passano anche attraverso parole come queste:
Mangiando carne
assimiliamo il terrore
del ’animale al macello:
l’agonia insaporisce
gli ultimi attimi
di vita
del nostro boccone.
Un pesce soffoca lentamente,
dimenandosi per respirare in mare;
nello stesso istante
il pescatore
progetta come cucinarlo.
L’Uomo combatte
una guerra caramellata
contro la Natura,
incurante di essere
lui
il pesce o la carne.
La risposta è
nel proprio DNA.
E questa è la fase due della consapevolezza.
Due come lo yin e lo yang.
Due come l’io e il me, lo spirito e l’anima.
Troppo spesso abituati a cercare l’altro fuori di sé, non ci rendiamo conto che il primo sé che dobbiamo cercare, individuare è solo fuori da noi, nel nostro riflesso. Dovremmo imparare a guardarci con occhi che non siano i nostri, quasi fossimo estranei che giudicano altri estranei.
Comprendere che tutto sommato le guerre che combattiamo sono inutili perché appartengono a un circolo che sempre uguale ritorna su sé stesso, spingendosi tuttavia (come una spirale) verso l’alto.
Perché anche se tutto torna, non lo fa mai allo stesso modo.
mentre ti partoriva?
È necessario ricostruire
iniziando dalle particelle,
analizzare lo scenario
terminata questa nebbia.
Hai bisogno
di un passato?
Il tuo soffio
non lascia traccia quando
respiri vicino al vetro.
Cosa accade
mentre dormi?
Uno spettro
si risveglia
e la mente
forgia idee.
Sei confuso e
non decifri
questo testo?
Al ora non hai capito che:
tu non esisti!
Fase tre: la completezza.
Siamo uno-due-tre. Dalle nostre ceneri possiamo rinascere, ma solo a patto di comprendere che siamo nulla.
Nulla se non una fragile farfalla attratta dalla luce inconsapevole di poter morire se non quando è già morta.
Che siamo un tutt’uno con il mondo che ci circonda , di cui siamo parte. Ci nutriamo di lui e lui si nutre di noi un cerchio infinito.
E che non abbiamo bisogno, per esistere, di un qualcosa che ci definisce, di un passato. Perché non è il passato che fa di noi ciò che siamo, ma è la nostra essenza, la nostra purezza. E qui il cerchio si chiude attraverso il titolo della raccolta: nella purezza.
Scevri da ogni ingombro materiale possiamo infine trovare il due e il tre non solo in noi stessi, ma nell’altro.
Riconoscere una parte di noi in qualcuno e permettere allo stesso di trovare una parte di sé in noi, per arrivare al tre: una nuova creatura che viene generata dall’unione dei due e paradossalmente ci riporta all’uno.
Due entità distinte e complete che formano una terza entità nel momento in cui diventano uno.
Non è una cosa meravigliosa?
(Giorgio ringrazia di cuore Alessadra Micheli e Rita Fassi
Info sulla pubblicazione qui: http://www.giorgiomontanari.it/poesia/
Per gentile concessione; testo tratto da: https://lesfleursdumal2016.wordpress.com/2019/06/28/nella-purezza-di-giorgio-montanari-a-cura-di-rita-fassi/ e pubblicato il 28/06/2019)