“La ricerca dell’immortalità” è il nuovo film su Salvador Dalì, nei cinema per pochissimi giorni (fino al 26 settembre).

La pellicola racconta il genio visionario dell’artista spagnolo che, in oltre 60 anni di carriera, ha segnato le storie dell’Arte visiva del ‘900 (e dei secoli successivi).

 

Accompagnato per una vita da Gala, la moglie, musa e manager, la fama di Salvador Dalì si è presto espansa: dalla Spagna (terra natale), a Parigi (centro nevralgico dell’arte dei suoi primi periodi), fino a New York (dove, nel ‘900, alcuni pittori erano venerati quanto gli attori di Hollywood), dilagando nel mondo intero.

Il documentario è ricco di interviste visionarie nelle quali il pittore, parlando di sé in terza persona e chiamandosi “Dalì”, esplora il suo estro, le sue innovazioni, fino a confidare la viscerale paura della morte – motore che lo ha portato a vivere ogni momento della sua vita al massimo.

 

Nella oltre cinquantennale e gratificante carriera, il pittore mise su tela gli incubi del subconscio (proprio nel periodo in cui Freud proponeva al mondo i suoi studi), fino ad evolversi grazie a quadri di dimensioni sempre più grandi che univano religione a simboli di altre discipline e metafore visive. Il tutto, al servizio ed evoluzione del surrealismo.

 

Quello che definiva il suo “nido” era un’abitazione in un paese di pescatori all’estremo est della Spagna; nel corso dei decenni, per coronare una promessa di gioventù, regalò a sua moglie Gala un castello dove ella era poteva vivere come unica sovrana; Dalì fece inoltre costruire a Figueres un teatro-museo dall’aspetto estremo (azzarderei un po’ pacchiano…visto che le mura erano sormontate da grosse uova e le pareti esterne intervallate da piccoli pani di ceramica) nel quale troneggiavano molte sue opere artistiche.

Salvador Dalì morì proprio nel suo teatro-museo, nel 1989, all’età di 85 anni. Il suo genio, però, tutt’ora rimane.

 

 

 

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