…sarò banale ma, per me, un disco genuino e vero non può che essere “bello”.
Ritengo l’ultimo degli U2 (il quattordicesimo dall’esordio del 1980) un ottimo disco, non il migliore della carriera ma sicuramente degno dei tanti ascolti che gli ho dedicato. Influenzato dalle vicende personale del frontman, Bono, è il frutto di un percorso artistico-musicale decennale, dopo il quale gli U2 restano ancora una delle band più importanti di tutti i tempi.
Pur essendo “fratello minore” di “Songs Of Innoncence” (uscito nel 2014), questo “Songs Of Experience” (uscito il 1 dicembre 2017) potrebbe considerarsi il fratello “maggiore” per via dei testi: uno dei temi ricorrenti è, infatti, la fine della vita. Bono ha dichiarato di avere avuto un’esperienza di pre-morte, una specie di soffocamento che lo ha spaventato tanto da aver bisogno di scrivere delle lettere indirizzate idealmente alle persone care come se non le potesse vedere mai più. Queste lettere sono diventate, nel tempo, i testi dell’album.
Quella di Bono resta una delle voci più intense degli ultimi 40 anni, nonostante sia a tratti graffiata dalle fatiche dell’età. Bruce Springsteen, alla cerimonia di inserimento degli U2 nella Rock’n’roll Hall Of Fame (2005), ha raccontato che, vedendoli dal vivo all’inizio degli anni ’80, stava “ascoltando l’ultima band di cui sarebbe mai in grado di nominare tutti i suoi membri”. Gli U2 mantengono infatti la stessa formazione da quattro decadi, costruendo un’architettura sonora mutata nel corso degli anni ma comunque estremamente riconoscibile.
I. Love Is All We Have Left
Mai apertura di un disco del quartetto irlandese fu così intensa: la calda voce di Bono dialoga, nella seconda strofa, con il suo timbro “robotizzato” dall’autotune. Una bellissima dichiarazione d’amore sostenuta unicamente da un tappeto di synth. L’incipit del disco dura due minuti di toccante passione.
II. Lights Of Home
Un rock orchestrale cui Bono tiene particolarmente, forse proprio per via delle drammatiche esperienze vissute. Il finale corale “free yourself to be yourself / if only you could see yourself” riprende le liriche di “Iris” (contenuta nel precedente disco e dedicata alla madre – scomparsa quando Bono aveva solo 14 anni).
III. You’re The Best Thing About Me
La hit che aveva lanciato l’album a fine 2017: un gran pezzo rock-pop, con un bridge che fa battere il piedino. Il testo è una lettera al miele per Ali, la moglie di Bono. La seconda parte del ritornello tira fuori il “suono U2” (chitarre col delay, batteria con charleston in sedicesimi, basso lineare, voce accesa e potente).
IV. Get Out Of Your Own Way
Ho fatto un po’ fatica a digerire questo brano: la melodia della strofa è un rincorrersi di sillabe, il pre-chorus “esplode” solo in parte per poi “implodere” nei cori del ritornello. Come struttura, suoni e dinamiche mi ha ricordato la più fortunata “Beautiful Day” (loro hit del 2000).
V. American Soul
Come succede altre volte in questo “Songs Of Experience” vi sono brani che riprende fedelmente passaggio altre canzoni dei “Songs Of Innocence”: nello specifico, il ritornello di “American Soul” cita il bridge di “Volcano”. Benché non sia fra i miei preferiti, sono convinto che questa traccia possa agitare gli stadi nel tour mondiale appena iniziato (che toccherà l’Italia ad ottobre 2018).
VI. Summer Of Love
Malinconia e dolcezza si fondono in questo brano. Gli U2 pensano ad una “West Coast” ma non a quella che tutti conosciamo (ossia la California): stanno recitando le sofferenze delle rovine di Aleppo, in Siria.
VII. Red Flag Day
Il sound grezzo e il ritmo dritto e veloce riportano i ricordi a “War” (1983): “Red Flag Day” risulterà essere il pezzo preferito dagli affezionati dei primi album della band irlandese.
VIII. The Showman (Little More Better)
Un brano scanzonato con cui Bono parla del mestiere del cantante, fra luci che si accendono, bugie da “frontman” e sorrisi per accattivarsi il pubblico. Dal sapore retrò, con spruzzi di swing.
IX. The Little Things That Give You Away
A parere di chi scrive, forse il brano migliore dell’album. Una ballad soffusa, intensa, delicata, già anticipata in concerto durante “The Joshua Tree 30th Anniversary Tour” (2017). Bono tocca i vertici dell’interpretazione, una voce commossa e un testo introspettivo: “Sometimes I can’t believe my existence / See myself from a distance / I can’t get back inside / Sometimes the air is so anxious / All my thoughts are so reckless / And all of my innocence has died”.
X. Landlady
Brano introverso, impreziosito dal delay di The Edge, dal cantato delicato di Bono e dai suoni rarefatti nello sfondo. Non emerge in un album dalle tante sfaccettature.
XI. The Blackout
“In the darkness where we learn to see” è un verso che, sapendo delle sofferenze di Bono, interpreto come un sincero inno alla vita, alla consapevolezza di non essere ancora giunto al buio finale. Il ritornello fa saltare e la strofa porta agitazione: il ritmo incalzante è interrotto dal pre-chorus sospeso ed atmosferico.
XII. Love Is Bigger Than Anything in Its Way
Il singolo attualmente in heavy rotation è un altro inno all’amore. Il video mostra infatti coppie di ogni età e genere sfoggiare il loro affetto. Una ballad corale, dal continuo crescendo.
XIII. 13 (There is a Light)
Il brano conclusivo riprende il ritornello di “Song For Someone”, pubblicata tre anni prima, senza però toccarne lo stesso pathos. Una di disco conclusione dal sapore dolceamaro come era già successo per la raccolta precedente. Una ballad delicata e soffusa: “this is a song, a song for someone / someone like me”.
“Songs Of Experience” è quindi un album completo, che fotografa una band matura e impegnata, con testi genuini ed introspettivi. Augurando una prosecuzione di carriera e di vita longeva, ho trovato una simile passione in “Blackstar”, il lavoro conclusivo di David Bowie.
Ho visto gli U2 dal vivo solo una volta, nel tour precedente, ossia quello del 2017 che celebrava il trentennale dal loro capolavoro “The Joshua Tree”: personalmente ho trovato la band in forma ma ho notato Bono meno istrione di quanto pensassi, specie confrontandolo con filmati di concerti di qualche anno fa. Mi auguro che questa stanchezza sia data solo dall’età (ho scritto l’articolo oggi, 10 maggio 2018, proprio il giorno del suo 58mo compleanno) e non da preoccupazioni di salute.
Long Live U2… In The Name Of Love!
(Testo dell’articolo di Giorgio Montanari.
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