Dalle tradizioni povere della Basilicata un presidio Slow Food, il Pezzente della Montagna Materana.
L’aggettivo “pezzente” è solitamente usato in tono dispregiativo per indicare qualcuno su cui non riporre stima. Oggi impareremo come possa assumere il significato opposto decidendo di parlare il “gergo alimentare”. Il salume che analizzeremo nelle prossime righe è il Pezzente della Montagna Materana: sotto questo nome si cela una specialità che, tanti anni fa, rappresentava parte dell’alimentazione dei contadini della piccola Basilicata.
La storia tricolore insegna che, un tempo, il ceto meno abbiente era quantitativamente superiore alla popolazione ricca. Avendo a disposizione poche risorse era essenziale ridurre al minimo gli sprechi di cibo. L’uccisione del maiale, sovente di proprietà della famiglia contadina, garantiva fonte di reddito grazie alla produzione di salumi di valore destinati alle tavole della classe agiata (guanciale, pancetta, soppressata) e, al contempo, donava spunti per recuperare le carni “meno nobili” trasformandole in ricette capaci di sfamare i meno fortunati. In passato, nel cuore della regione Basilicata, fra le foreste della Montagna Materana e del medio Basento, viveva una razza suina autoctona, il Nero di Lucania, che attualmente risulta essere particolarmente rara. Anche oggi, come in antichità, per la preparazione del pezzente si ricorre a maiali allevati allo stato brado in boschi dove sono in grado di cibarsi di radici, ghiande, funghi, tuberi. Dopo la macellazione, da questi animali autoctoni si recuperano tagli meno nobili per donare loro nuova vita. I nervetti, i muscoli meno facili da sminuzzare, rifilature di pancetta, il grasso non impiegato in altre lavorazioni, la zona della gola insanguinata all’atto dell’uccisione: queste parti del suino formano il caleidoscopio di ingredienti che porterà al Pezzente della Montagna Materana. Le carni vengono prima tagliate in listarelle e successivamente tritate a grana media. La loro aromatizzazione è composta da polvere di peperone dolce di Senise o peperone piccante, semi di finocchio selvatico, aglio fresco tritato, sale marino.
La lavorazione avviene in maniera artigianale, nel rispetto delle tradizione. Gli scritti descrivono l’operazione di impasto delle carni con la concia (arricciatura in dialetto locale) come la fase più caratterizzante: l’addetto preme energicamente coi pugni il mix finché non ne riscontra una perfetta omogeneità. Completata l’arricciatura si valuta, prima dell’insacco, se gli ingredienti siano in grado di donare l’equilibrio desiderato: per fare questo si preleva una piccola parte del semilavorato e lo si soffrigge in un tegame (sartascnill). Se l’assaggio soddisfa l’operatore, questi procede con l’insacco in budello naturale, lasciando poi riposare il prodotto per qualche giorno in un ambiente caldo.
L’ultima fase riguarda la stagionatura, variabile a seconda dell’utilizzo finale: dura tre settimane se il pezzente verrà consumato da solo, magari su una bella fetta di pane casereccio, e si ferma a due settimane se sarà impiegato in cucina come ingrediente per altri piatti (ad esempio il sugo per la pasta fatta in casa) oppure se verrà scaldato (possibilmente accompagnato da un trionfo di verdure cotte come verza, cicoria, scarola).
Una volta in commercio, il Pezzente della Montagna Materana si presenta di forma cilindrica allungata, tendenzialmente a ferro di cavallo; il prodotto mostra un bel colore rosso vivo con variazioni cromatiche che evidenziano i differenti tagli presenti nell’impasto. Dal profumo speziato e intenso, all’assaggio stuzzica il palato rivelandosi complesso ma armoniosamente bilanciato. Di pezzatura ridotta, è uno di quei salumi preparati nella stagione fredda e quindi principalmente reperibile entro l’inizio dell’anno. Se non si consuma subito, può essere conservato sotto sugna anche per una decina di mesi.
La selezione della materia prima, degli aromi naturali, l’insieme di procedure antiche hanno colpito Fondazione Slow Food tanto da rendere il Pezzente della Montagna Materana un presidio riconosciuto e tutelato. La tradizione produttiva è portata avanti da poche realtà locali che ancora si battono per mantenere alta la bandiera della qualità. Al momento sono due i produttori che si adoperano a rispettare le antiche regole di produzione locali. Il pezzente è uno dei tre soli presidi della regione: gli altri due sono il caciocavallo podolico della Basilicata e l’oliva infornata di Ferrandina. Essendo l’unico prodotto regionale a base di carne riconosciuto da Slow Food, l’auspicio è che altri artigiani intraprendenti vogliano far conoscere questa specialità locale in tutta la regione… e non solo.
(Per gentile concessione della rivista “Premiata Salumeria Italiana“.
Questo mio articolo fu pubblicato su questa rivista a pagina 54 del fascicolo numero 3, anno 2017.
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